27 Marzo 2018
Blockchain, brand e fiducia

Facebook e Cambridge Analytica, Oxfam e gli abusi sessuali, Volkswagen e il Dieselgate: sono alcuni degli scandali che stanno mettendo a dura prova la fiducia delle persone nei confronti di brand noti a livello globale. Crisi di questa portata si possono risolvere solo con una strategia d’intervento ben articolata, utilizzando la comunicazione per supportare l’azione e ricostruire le relazioni deteriorate. Se parliamo invece di prevenzione, alcuni ricercatori indicano la tecnologia blockchain come un nuovo possibile strumento per costruire e proteggere la reputazione di aziende e organizzazioni.

Nella definizione della Crypto Valley Association, la blockchain è la combinazione intelligente di concetti tecnologici maturi come le reti peer-to-peer, gli algoritmi di consensus distribuito, le regole di validità, i registri e la crittografia. Nota soprattutto come fondamento delle cryptovalute e dei bitcoin, è in realtà applicabile a moltissimi altri settori, dall’industria ai servizi di pubblica utilità, dalla sanità all’istruzione, in qualsiasi contesto le relazioni fra gli stakeholder siano basate sulla fiducia e completamente disintermediabili.

Semplificando, possiamo descrivere la blockchain come un lunga catena, formata da tanti blocchi tra i quali avvengono transazioni e scambi di dati, ciascuno verificato e validato prima di diventare effettivo. La blockchain è quindi una sorta di un grande registro pubblico, disponibile a tutti i blocchi della catena e decentralizzato, poiché non ha bisogno di un ente superiore per garantire l’affidabilità delle informazioni che contiene.

Potremmo immaginare la blockchain come un’etichetta digitale, inseparabile dall’oggetto a cui è legata, che ne segue l’intera vita e documenta qualsiasi variazione possa interessarlo. Essendo basata su un sistema avanzato di crittografia, questa etichetta è inviolabile e sicura al 100%, perché ogni tentativo di manomissione sarebbe subito rilevato e bloccato dalla stessa catena.

Nel settore alimentare, la blockchain potrebbe ad esempio essere usata per tracciare la filiera di un prodotto, certificare l’origine dei suoi ingredienti e scongiurare le possibili frodi. Secondo Jemma Green, co-fondatrice di Power Ledger, questo tipo di applicazione avrebbe impedito lo scandalo delle lasagne Findus, vendute come contenessero carne di manzo, ma in realtà preparate con carne di cavallo, oppure la recente adulterazione di milioni di bottigle di vino Côtes du Rhône, che ha interessato anche il celebre Châteauneuf-du-Pape. Quali benefici avrebbe invece nel settore edile, dove la composizione dei materiali è spesso contraffatta per lucrare sui costi? Si potrebbe esercitare un controllo più efficace e impedire la costruzione di edifici e infrastrutture fragili, ad alto rischio di crollo.

La blockchain può quindi contribuire alla reputazione di un brand perché funge da garanzia delle sue promesse – in particolare per tutto ciò che riguarda la sostenibilità e l’etica, dimensioni su cui le persone sono molto sensibili e sulle quali non sono ammesse sbavature. Utilizzando la blockchain, l’azienda può dimostrare da dove provengono le materie prime che entrano nei suoi stabilimenti, dove e come vengono distribuiti i suoi prodotti, in quali condizioni lavorano i suoi dipendenti (qui l’opinione di Samantha Radocchia, co-fondatrice di Chronicles). Slogan come ‘senza olio di palma’, ‘non testato sugli animali’ o ‘biologico’ assumerebbero un nuovo significato, riconquistando la fiducia di chi ha visto troppe volte disattesi questi impegni.

Nell’epoca della post-verità, forse la tecnologia blockchain può dare una mano alle aziende virtuose.

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