Attenzione, rallentare

Al tempo dello smartphone e della tecnologia digitale, tutto ci spinge a essere rapidi, efficienti, agili. Ma, quando la velocità diventa eccessiva, ecco riaffiorare un rinnovato desiderio di lentezza. E anche il marketing diventa slow.

Lo ha spiegato il prof. Lamberto Maffei, uno dei maggiori esperti internazionali di neuroscienze, nel suo ‘Elogio della lentezza’: «Il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione […] La netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile».

Atleti a parte, l’uomo non è programmato per andare troppo veloce. Secondo alcune fonti, il nostro corpo ha bisogno di almeno 10mila passi ogni giorno, possibilmente ad andatura lenta, per stare bene. E la riscoperta di ritmi più blandi è diventata un movimento, con dibattivi, eventi e iniziative slow in tutti i campi, dal cibo alla medicina, dal giardinaggio all’educazione dei bambini.

Di fronte alla richiesta di un collettivo rallentamento, alcune aziende hanno cominciato a togliere il piede dall’acceleratore. Come? Ad esempio trasformando i punti vendita in spazi accoglienti, dove passare piacevolmente del tempo senza per forza essere catapultati dallo scaffale alla cassa. Cambiano quindi i format delle librerie, dei supermercati, persino dei negozi di fiori – accomunati dalla nuova idea di estendere l’esperienza in-store a qualcosa che non sia sempre e soltanto un ‘compra e fuggi’.

Cambia la pubblicità. La narrazione compressa negli spot da 30 secondi è diventata slow, introducendo alcuni elementi lenti per diventare fiction, mini serie, sit-com. Questo tipo di advertising, da far vivere in TV, in radio e poi allargare a piacimento sul web, non serve solo a prodotti e promozioni, ma contribuisce alla costruzione di quello storytelling emozionale che la maggior parte dei brand insegue. È quello che qualche anno fa ha ispirato la campagna Papà di Wind, scegliendo un cortometraggio d’autore per raccontare che la tecnologia non sempre basta a comunicare con chi si ama davvero.

Mettendo un po’ da parte l’ossessione per il breve periodo, le aziende cambiano anche la loro comunicazione corporate e provano a (ri)conquistare la fiducia dei loro stakeholder diventando una fonte autorevole sui temi di propria competenza, lavorando sulla reputazione e credibilità con un passo diverso, incoraggiando la partecipazione dei dipendenti e il dialogo con gli stessi clienti. Dal comunicato stampa o l’evento che infiamma la Rete, ma altrettanto rapidamente si spegne, la comunicazione si sposta oggi verso campagne più articolate, attraverso le quali sviluppare uno storytelling capace di generare interesse su più piattaforme, coinvolgere interlocutori diversi, raggiungere risultati duraturi.

Con un passo slow, ovviamente.

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