New York Times
5 Febbraio 2019
Di chi ci fidiamo? Poco dei media, eppure non smettiamo di seguirli

Rimproveriamo ai media la scarsa accuratezza, la spettacolarizzazione dell’informazione, l’incapacità di resistere ai condizionamenti e combattere le fake news. Ma stampa, radio e TV restano, nonostante tutto, influenti. Ancora qualche riflessione sul tema della fiducia.

Quando si tratta di capire come va il mondo, diamo più credito alle informazioni che arrivano dal datore di lavoro che a ciò che raccontano le ONG, le aziende in generale, le istituzioni, i media. Secondo il Trust Barometer 2019 di Edelman, sono proprio i media quelli di cui globalmente abbiamo meno fiducia.

La stessa ricerca evidenzia però un dato importante. In un tempo in cui le persone sono pessimiste sul futuro, preoccupate per le derive del sistema politico ed economico, deluse dai leader tradizionali, resta vivo il desiderio di cambiamento, che si esprime anche in un modo diverso di consumare le notizie. Non abbiamo smesso di seguire i media, anzi.

Nell’ultimo anno è salita dal 24% al 32% la quota di coloro che si informano almeno una volta alla settimana, e dal 26% al 40% la quota di chi, oltre a leggere, amplifica i contenuti condividendoli o ripubblicandoli in Rete. Il fenomeno è più accentuato tra le donne e cresce all’aumentare del livello di istruzione, benché il Trust Barometer non entri nel merito di quest’opera di amplificazione (cosa e come viene condiviso in rete? quanto pesa il confirmation bias?)

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Va detto che i media non sono tutti uguali, e non tutti godono della stessa fiducia. Secondo il Barometro sono stampa, radio e TV le categorie ritenute più credibili (65%), al pari dei motori di ricerca. Crede nell’informazione online il 55% del campione, mentre solo il 43% è convinto dell’attendibilità dei social media che, dal 2012 a oggi, non hanno mai visto crescere più di tanto il consenso.

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Tutto questo vale anche per l’Italia? Sostanzialmente sì. L’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese dice che i telegiornali sono tuttora il mezzo preferito per sapere cosa succede nel mondo (il pubblico è aumentato dal 60% al 65% nell’ultimo anno), seguiti da Facebook che però perde il 9% dell’utenza a scopi informativi.

Audience e fiducia non vanno sempre d’accordo. La televisione e la radio – che ha oltre 34,7 milioni di ascoltatori nel giorno medio secondo Radio Ter – sono i media di cui gli italiani hanno maggior fiducia, entrambi superano il 69%. La carta stampata è considerata molto o abbastanza affidabile dal 64%, ma continua a perdere terreno. I dati Audipress parlano di poco più di 16 milioni di lettori per i quotidiani (dei quali il 60% non compra la copia del giornale, ma la riceve da altri o la prende in prestito), 13,5 milioni per i settimanali e 12 milioni per i mensili. Numeri preoccupanti, considerando che in quattro anni i primi tre quotidiani nazionali (Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore) hanno visto la diffusione complessiva calare di circa il 40%.

Hanno un pubblico più numeroso, ma godono di molta meno fiducia i siti web d’informazione, che solo il 43% degli italiani interpellati dal Censis considera credibili, e i social media, ritenuti non del tutto affidabili da oltre il 66%. Sono tuttavia seguiti quotidianamente da 35 milioni di connazionali, che vi trascorrono una media di 1,5 ore al giorno, come segnala l’ultimo report di We Are Social e Hootsuite.

Come si esce da questa impasse? Qualità, innovazione e multicanalità sono gli ingredienti su cui stanno scommettendo i grandi editori italiani e internazionali, alla ricerca di un nuovo patto di fiducia con il pubblico e gli investitori. Sembra una ricetta banale, ma evidentemente non è così.

 

Nella foto: La redazione del New York Times nel 1942.
I grafici sono tratti dal Trust Barometer 2019.

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