giornalismo investigativo
19 Novembre 2019
La dimensione locale del giornalismo investigativo

Non solo grandi inchieste. Il giornalismo investigativo mette città e quartieri sotto la lente d’ingrandimento, usando la Rete e gli strumenti tipici del crowdsourcing e del fact-checking.

Nonostante la disaffezione verso i media tradizionali, il giornalismo di qualità non è morto, anzi. Si sta facendo strada una nuova generazione di reporter che non vuole smettere di far luce sulla realtà partendo dai fatti, in modo indipendente ma nel rispetto delle regole, al servizio della verità. Il giornalismo investigativo – soprattutto quando tocca temi complessi come la criminalità organizzata, il sovranismo internazionale, i fenomeni migratori, i diritti umani – è tuttavia costoso, comporta molti rischi e richiede competenze e risorse che le redazioni non sempre riescono a garantire.

Ecco perché il giornalismo investigativo tende a muoversi in due direzioni apparentemente opposte. Da un lato assume una scala sempre più internazionale, mettendo in contatto professionisti di diversi paesi perché possano condividere informazioni ed esperienze [molto interessante a questo proposito il lavoro di organizzazioni come l’International Consortium of Investigative Journalists, The Global Investigative Journalism Network o, in Italia, DIG e Investigative Reporting Project Italy]. Dall’altro approfondisce la dimensione locale, mettendo sotto inchiesta situazioni che riguardano singole città o territori, ma possono diventare storie di ben più ampio respiro.

Il giornalismo investigativo locale in genere non dispone di grandi mezzi, per cui ha imparato a sfruttare il potere della Rete per coinvolgere le persone, usando alcuni degli strumenti tipici del crowdsourcing e del fact-checking. Dall’ultimo Festival del Giornalismo di Perugia riprendiamo tra gli altri l’esempio di Correctiv, il collettivo non-profit nato in Germania con l’ambizione di riportare i media a essere il ‘quarto potere’ della società civile.

Nell’aprile 2018 il mercato immobiliare tedesco ha vissuto una vera e propria esplosione, con un’improvviso rialzo dei prezzi degli affitti. Dietro la speculazione il sospetto che il mercato andasse concentrandosi nelle mani di pochi grandi operatori, nascosti da prestanome allo scopo di mascherare il riciclaggio di ingenti flussi di denaro sporco. L’inchiesta, focalizzata in una prima fase su Amburgo, ha permesso di raccogliere informazioni su quasi 15.000 case e appartamenti grazie alla collaborazione di oltre 1.000 inquilini, che hanno contribuito con dati e prove documentali attraverso la piattaforma CrowdNewsroom.

“Serve una comunità per dar vita a una grande storia”, ha spiegato Justus von Daniels di Correctiv. Il progetto Wem gehört Hamburg? (Chi possiede Amburgo?) ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità la scarsa trasparenza del mercato cittadino: più di un terzo degli alloggi che vengono affittati ad Amburgo appartiene allo stesso soggetto, il riciclaggio di denaro muove oltre il 10% delle compravendite. Il database, con i dovuti accorgimenti in fatto di privacy e protezione dei dati, è tuttora online per chiunque voglia saperne di più – media, istituzioni, gli stessi inquilini – mentre il progetto è stato esteso ad altre città tra cui Berlino e Düsseldorf, e la piattaforma è disponibile in modalità open source per chi volesse replicarla e farla crescere.

L’esperimento conferma le qualità del giornalismo investigativo locale, ovvero la possibilità di indagare fenomeni che non sempre sono in cima all’agenda politica o godono di elevata visibilità, coinvolgere e attivare le persone in quanto fonti, costruire reti di conoscenza attorno a un tema specifico, diventando occasione di dibattito e confronto. Quello che il giornalismo dovrebbe sempre fare, insomma.

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