great resignation
25 Novembre 2021
The Great Resignation: la comunicazione può arginare l’onda?

La stagione delle grandi dimissioni (Great Resignation) ha numeri da record. Negli Stati Uniti, il tasso di uscita – considerando solo le dimissioni volontarie – ha avuto un nuovo picco del 3% in settembre, conferma il Bureau of Labor and Statistics. Oltre 20 milioni di lavoratori hanno lasciato la loro azienda tra maggio e settembre.

In Italia, la nota del Ministero del Lavoro riferita al secondo trimestre 2021 parla di 484mila dimissioni volontarie su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati, con un incremento del 37% rispetto al periodo precedente e addirittura dell’85% se si confronta il dato con il secondo trimestre 2020.

Qual è la causa di questa fuga da fabbriche e uffici? Impossibile isolarne una sola, gli osservatori sottolineano la convergenza di diversi fenomeni economici e sociali, come la trasformazione digitale che ha travolto la maggior parte delle imprese e ha lasciato indietro parecchi dipendenti. Ma è stata soprattutto la pandemia ad innescare un cambiamento profondo nel modo di intendere il lavoro e la professione.

Dopo l’esperienza del lockdown e lo smart working forzato, pochi hanno voglia di rientrare in ufficio a tempo pieno. Molti di più sono quelli che non vogliono rinunciare a una gestione flessibile e autonoma del tempo e del luogo per il lavoro, condizione percepita come necessaria per dare più spazio ed energia alla famiglia, alla vita privata e gli interessi personali. Siamo nel pieno della YOLO economy e, nella consapevolezza che si vive una volta sola (you only live once), siamo meno disposti a sacrificarci per il lavoro e più propensi a inventarci una professione più vicina ai nostri sogni e aspettative.

Attenzione, però: la Great Resignation potrebbe sembrare qualcosa di nuovo, ma i dati indicano che il turnover dei lavoratori dipendenti è cresciuto in modo costante negli ultimi dieci anni. Oggi le barriere all’uscita e i costi di transizione da un’azienda all’altra sono piuttosto bassi: grazie a Internet e i social media, non è mai stato così facile trovare nuove opportunità professionali, lavorare come freelance, avviare una start-up. La prevalenza del lavoro da remoto non richiede neanche di trasferirsi per cominciare un nuovo lavoro.

Non dovrebbe stupirci che le persone cambino lavoro per crescere, inseguire un sogno o per ragioni personali. La novità è che un numero crescente di persone lasciano l’impiego o pensano di farlo senza avere un’adeguata copertura economica. Sono così scontente della loro azienda da dimettersi senza avere un’alternativa, non si sentono ascoltati, apprezzati e in sintonia con il loro datore di lavoro.

Cosa può fare la comunicazione interna per fermare quest’onda? Chiaramente la comunicazione può fare ben poco dove le condizioni di lavoro sono cattive, ma può aiutare dove esiste una frattura tra le persone, i valori e le pratiche aziendali.

Conosciamo il valore di una comunicazione efficace, motivante, coinvolgente – non ci ripetiamo. Parliamo invece di target. Per mitigare l’impatto della Great Resignation, un recente articolo di Harvard Business Review suggerisce di concentrare la comunicazione interna sugli ‘enthusiastic stayers’.

Questi dipendenti sono evidentemente l’opposto dei ‘reluctant stayers’, non si riconoscono per i risultati superiori, ma per la maggiore adesione all’azienda, definibile come il grado di connessione al tessuto sociale dell’organizzazione. Secondo gli autori, gli entusiasti in media rappresentano fino al 40% del totale dei dipendenti, sono in forte accordo con la cultura aziendale, hanno relazioni proficue con i colleghi e percepiscono la loro eventuale uscita come un enorme sacrificio.

Molte aziende misurano l’allineamento valoriale dei candidati prima di assumerli, ma non monitorano questo parametro nel tempo. La comunicazione interna può sostenere i percorsi di carriera, i programmi di formazione e mentorship per accrescere l’impiegabilità e fare in modo che le persone continuino a immaginare il proprio futuro all’interno dell’organizzazione. Può favorire le relazioni attivando canali formali, ad esempio tra i manager e i loro riporti, oppure informali tra team e pari.

Non ultimo, può rinforzare quegli elementi intangibili che rendono difficile per una persona l’idea di andare via – ad esempio un purpose capace di ispirare o un ambiente lavorativo genuinamente inclusivo. Sono aspetti che i concorrenti non sempre riescono a replicare.

Mentre coccola gli entusiasti, la comunicazione consolida la cultura interna e questo indirettamente fa bene a tutta l’organizzazione. Anche chi è poco convinto può trovare nuove motivazioni e chi ha intenzione di lasciare potrebbe trovare un motivo per restare.

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