sfiducia
3 Febbraio 2020
La stagione della sfiducia

Gli anni Venti si aprono nel segno della crescente diffidenza verso i governi, le imprese, i media e le ONG.

Siamo preoccupati per il futuro, non ci aspettiamo miglioramenti da qui a cinque anni, siamo sempre più convinti che il sistema sia iniquo e pieno di ingiustizie. Il Trust Barometer 2020 di Edelman, presentato nei giorni scorsi al World Economic Forum di Davos, punta il dito sulla profonda sfiducia che caratterizza il nostro tempo: più della metà degli intervistati (34mila persone in 28 Paesi) pensa che il capitalismo stia facendo più danni che benefici al mondo, mentre l’83% teme di perdere il posto di lavoro a causa della recessione economica, la delocalizzazione, l’automazione di molte mansioni e la gig economy.

A chi diamo credito, in questo scenario a tinte fosche? Poco è cambiato rispetto a un anno fa, perché nessuna delle quattro principali istituzioni sociali – i governi, le imprese, i media e le ONG – brilla contemporaneamente per competenza ed etica, le due dimensioni che maggiormente influenzano la fiducia.

Fonte: Trust Barometer 2020, Edelman

Ai governi vanno gli affondi più severi. Il 57% li ritiene capaci di servire solo gli interessi di pochi, il 66% non crede che gli attuali leader politici siano in grado di vincere le sfide globali, il 61% è convinto che non sappiano comprendere i trend emergenti (tra cui l’impatto delle nuove tecnologie) per poterli gestire e regolamentare in modo efficace. Ai media si rimprovera invece l’incapacità di arginare il fenomeno delle fake news (il 76% le percepisce come una seria minaccia) e la caduta nella qualità dell’informazione.

Le imprese si confermano l’istituzione più meritevole di fiducia: lo pensa il 58% degli intervistati, che tuttavia assegnano alle aziende un ruolo ben più ampio della loro attività economica, con precise responsabilità ad esempio nella lotta ai cambiamenti climatici, nell’uso etico della tecnologia, nella costruzione di una società equa e inclusiva.

C’è di nuovo un forte richiamo al corporate activism, con il 92% delle persone convinto che i CEO debbano prendere posizione sui grandi temi politici, sociali ed economici, e il 75% che vorrebbe vedere le aziende in azione, senza aspettare l’obbligo normativo.

La fiducia verso le imprese ha però un altro vincolo, ovvero quello di far corrispondere dichiarazioni e comportamenti, traducendo in realtà il proprio purpose. Oltre l’80% degli intervistati ritiene, ad esempio, che sia dovere delle aziende pagare salari dignitosi, oppure preoccuparsi della formazione e ricollocazione dei lavoratori minacciati dalla trasformazione digitale. E qui torna la diffidenza, perché meno di un terzo delle persone si aspetta che ciò verrà fatto davvero.

Alle imprese l’onere di dimostrare il contrario, e ai comunicatori il compito di farlo sapere.

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