Dopo il Covid-19, per avere successo il city branding deve esprimere l’essenza della città e cosa vuole diventare in futuro
Quando pensiamo a New York, probabilmente pensiamo a uno dei posti più desiderati al mondo per vivere, lavorare o anche solo da visitare. Ma non era così fino alla metà degli anni Settanta, quando la percezione diffusa era quella di un luogo pericoloso, violento, sporco. Il cambio di rotta è cominciato nel 1976, quando il dipartimento per lo sviluppo economico dello stato di New York affidò al designer Milton Glaser il compito di creare un nuovo logo per stimolare il turismo. Ne uscì il celeberrimo logo ‘I Love NY’, che convinse tutti perché incarnava lo spirito positivo dei newyorkesi e contribuì a ribaltare l’immagine della città. Molti citano questa esperienza come il primo esempio di strategia consapevole di city branding.
Oggi non basta un logo per trasformare una città in un brand. Il city branding deve riuscire a condividere emozioni, cultura e il mindset che le persone vivono, siano residenti, turisti, visitatori o lavoratori in trasferta. Una buona strategia deve portare alla luce la storia della città e i suoi archetipi, la sua identità e il suo presente, ma anche la direzione in cui vuole andare.
Lo ha fatto Porto – il punto dopo il nome della città sottolinea l’assertività della sua gente, mentre il sistema visuale richiama la traduzione delle tipiche piastrelle decorative, le azulejos. Oppure Courmayeur, che ha scelto “Enjoying Italy at its Peak” come promessa e messo insieme la sua variegata offerta turistica – fatta di montagna e sport, relax, shopping e buon cibo – in un logo che rappresenta il versante italiano del Monte Bianco.
Il Covid-19 ha rimescolato le carte. Ora il city branding riguarda meno il turismo e l’accoglienza, e deve concentrarsi di più su temi di ampio respiro come la sicurezza, la crisi climatica, la resilienza urbana. Alle città viene chiesto di dimostrare che si prendono cura delle persone, quindi ci si aspetta che raccontino come garantiscono il diritto alla salute, come curano l’ambiente e usano le risorse naturali, come favoriscono l’inclusione, come attirano talenti e investimenti, e molto altro ancora.
Se le metropoli più grandi hanno sofferto maggiormente la pandemia, proprio loro devono concentrare il marketing e la comunicazione per rinforzare l’idea di essere luoghi sicuri e vivibili, capaci di offrire valore in un momento in cui i viaggi sono limitati e spostarsi in campagna potrebbe voler dire rinunciare a delle opportunità.
Alcuni progetti di city branding sono orientati a coinvolgere i cittadini, (ri)costruendo quartieri e spazi pubblici: è il placemaking, che racconta i luoghi a partire dalle persone, dalle loro attività e passioni – dando al territorio un’identità fisica, culturale e sociale, da far evolvere nel tempo.
Per avere successo, il city branding deve saper esprimere l’essenza della città e cosa vuole diventare in futuro. È una questione di posizionamento – come per aziende e marchi, più è semplice, credibile e rilevante, più è efficace.