teoria a cinque fasi
30 Marzo 2020
Covid-19, possiamo parlare d’altro?

Serve grande sensibilità ed empatia per comunicare in queste settimane, oltre alla credibilità che nasce dal purpose. La teoria a cinque fasi di Kübler-Ross aiuta a comprendere le onde emotive collettive.

A guardarla dalla prospettiva degli editori, la pandemia di coronavirus è paradossale: mentre esplode l’interesse per i mezzi di informazione (i dati preliminari parlano di +80% di visualizzazioni per i principali siti di news e crescite importanti degli ascolti TV e radio), i ricavi pubblicitari crollano.

Nelle ultime settimane le aziende si sono concentrate sulla comunicazione di crisi e hanno rivisto i piani marketing posticipando le attività non consentite (fiere ed eventi, ad esempio), annullando le campagne già pianificate, rimodulando quelle in corso ove possibile. Non sono solo i settori più direttamente toccati dalle misure di contenimento della crisi sanitaria, come il turismo, la ristorazione o la cultura: la maggior parte dei brand ha preferito rallentare gli investimenti, sia per prudenza, sia per non rischiare di essere inopportuni in un’emergenza che porta con sé un enorme carico umano, sociale, economico e politico.

Ma è davvero necessario azzerare la comunicazione? Certo non è possibile far finta di nulla e andare avanti con la propria narrazione senza considerare il contesto in cui la marca e il suo messaggio vanno a inserirsi.

Consapevoli dell’incertezza e della complessità del momento, alcune aziende hanno scelto di essere comunque vicine ai loro clienti. Casi degni di nota sono BMW, che ha cavalcato l’hashtag #FlattenTheCurve invitando le persone a restare a casa e lasciare l’auto in garage, e Mc Donald’s, che in Brasile ha separato gli archi del logo per ricordare di proteggersi tenendo le distanze.

È credibile chi riesce ad ancorare la comunicazione al purpose, facendosi guidare dai valori e coinvolgendo innanzitutto dipendenti e collaboratori. Serve grande sensibilità ed empatia, tenendo conto anche delle dinamiche che una situazione eccezionale come questa tipicamente genera a livello collettivo.

Ci viene in aiuto la teoria a cinque fasi della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross. Sviluppato per descrivere il processo di elaborazione del lutto, il modello vale anche per comprendere le onde emotive che si susseguono rispetto al Covid-19 e, attraverso il web e i social, raggiungono e influenzano le singole persone.

Abbiamo vissuto una prima fase di negazione della realtà, in cui ci siamo difesi dalla minaccia del coronavirus cercando rassicurazione nelle nostre certezze (ricordate #MilanoNonSiFerma?) e alimentando l’ottimismo (l’euforia per lo smart working, i flash mob dai balconi e le iniziative #andràtuttobene). Abbiamo attraversato la fase della rabbia, in cui la gravità della situazione ci è piombata addosso con i bollettini della Protezione Civile e i provvedimenti via via più restrittivi. Ci siamo quindi arrabbiati con noi stessi e gli altri, puntando il dito su chi non rispetta le regole o le autorità che non fanno abbastanza per contrastare il virus.

Siamo ora entrati in quella che viene chiamata la fase della contrattazione, in cui salvare il salvabile facendo leva sulle nostre risorse personali e familiari, nonché riconoscendo il valore degli altri – i medici e i sanitari che non si risparmiano, i lavoratori che tengono in piedi i servizi e le industrie essenziali, le imprese che, nonostante tutto, proteggono le famiglie garantendo i posti di lavoro.

Arriverà la fase della depressione, dove prenderemo coscienza dei danni di questa crisi e di quello che abbiamo perso. Ci sarà infine la fase dell’accettazione, in cui costruiremo il senso di ciò che è successo e pian piano ci rimetteremo in marcia in quello che è stato già chiamato “the post Covid-19 new normal”.

La comunicazione delle aziende può vivere in ognuna di queste fasi. A patto di saper calibrare molto bene il messaggio e il tono di voce.

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