Dimmi cosa fai per me

Nella fase 2 del Covid-19 la comunicazione deve proteggere e rassicurare. È il momento del protection storytelling.

La fase più calda della crisis communication sembra essere alle spalle. Mentre le aziende tornano gradualmente alla normalità con tutte le difficoltà del caso, il marketing e la comunicazione provano ad anticipare il futuro che verrà.

Già, il futuro… “Mentalmente i consumatori sono oggi in un luogo del tutto diverso da quello in cui si trovavano qualche mese fa. E saranno in un posto ancora diverso fra 3 mesi, fra 6 mesi o 1 anno”, ha spiegato Jason Heller dell’agenzia Persado in una recente intervista su Forbes.

Oltre a essere un’emergenza sanitaria, economica e sociale, il Covid-19 è infatti una crisi profondamente umana, in cui immagini e parole pesano moltissimo perché rappresentano gli elementi sui quali dare un senso a ciò che sta avvenendo e ipotizzare quello che potrà accadere, in un continuo intrecciarsi e ripetersi di onde emotive collettive.

Come parlare allora ai dipendenti, ai clienti, alle comunità che continuano a sopportare il distanziamento sociale e possono contare su ben poche certezze per il domani? I messaggi empatici e un po’ sentimentali, ispirati da #andràtuttobene e #insiemecelafaremo hanno omologato i brand in una narrazione che è diventata rapidamente un cliché: lo vediamo bene in questo acuto montaggio dove, mettendo uno accanto all’altro gli spot di tanti grandi brand, non abbiamo altro che musiche di pianoforte in sottofondo, città deserte, medici al lavoro, persone e famiglie chiuse in casa, al sicuro.

Tutto questo ora non basta più. Da un lato, le persone vogliono sentirsi dire che tutto tornerà a uno stato di normalità, che forse non avrà le care, vecchie abitudini, ma almeno porterà qualche buona notizia, e il permesso di distrarsi un po’ dalla pandemia che comunque non smette di preoccupare.

Dall’altro, dipendenti e consumatori si aspettano che il ‘Siamo qui per te’ delle aziende diventi ‘Cosa facciamo per te’, ovvero che lo storytelling lasci il posto a un autentico storydoing, in particolare su tutto ciò che è collegato alle dimensioni della salute e della sicurezza. Non si è disposti a dare fiducia a chi non si impegna a rendere sicuri stabilimenti e uffici, a tutelare i posti di lavoro, a proteggere i collaboratori e – per estensione – i clienti.

La narrazione di molti brand si sposta quindi verso il ‘protection storytelling’. “Abbiamo superato la fase del Covid-19 legata al racconto eroico […] In questo momento la marca deve proteggere, rassicurare, tranquillizzare. C’è un tema di salute pubblica che implica un ruolo sociale del brand”, ha commentato la professoressa Simonetta Pattuglia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata sulle pagine de Il Sole 24 Ore.

Facile vederne l’applicazione nel commercio e nella GDO: se il 68% degli italiani intende frequentare solo negozi capaci di garantire le massime condizioni di igiene e sicurezza (fonte: Gfk), il racconto delle insegne può partire ad esempio dalle tante misure concrete che proteggono i consumatori e il personale, dagli accessi contingentati alle mascherine, dalle barriere in plexiglass ai gel disinfettanti. Così, in chiave sicurezza, Coop ha ri-declinato la campagna “Una buona spesa può cambiare il mondo” in tv e nei punti vendita, e Decathlon durante il lockdown ha scelto di limitare le vendite online per non mettere sotto stress i lavoratori e la logistica. Bialetti ha lanciato la campagna #ricominciAMOitalia! mettendo la mascherina all’omino con i baffi, e Burger King gioca con il distanziamento proponendo un panino con tripla cipolla.

Anche nel turismo la comunicazione è tutta orientata alla sicurezza per convincere gli ospiti a prenotare in vista della stagione estiva ma, in senso più ampio, è protection storytelling anche quello di Giorgio Armani, tra i primi a intuire la gravità della pandemia e chiudere i negozi, sostenere la risposta sanitaria con una donazione e la conversione delle sue linee produttive per realizzare camici monuso. Gli ultimi annunci – lo spostamento dell’haute couture da Parigi a Milano e il murale dedicato all’Italia – contiene la promessa di un sistema moda meno spettacolare e più lento, certamente più attento a fare “vestiti che durano” e capace di “mettere la salute delle persone al primo posto”.

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