In alcuni settori, come quello finanziario, gran parte delle aziende ha programmi strutturati di risk assessment e risk management, stimolati anche dalla necessità di rispondere a precisi obblighi normativi. Secondo l’Institute of Risk Management, l’analisi e la gestione del rischio è prassi nel 75-80% delle grandi imprese che operano nelle economie più sviluppate, ma la percentuale crolla al di sotto del 50% se consideriamo le realtà di medie e piccole dimensioni.

Il risk management – ovvero il processo sistematico che permette di identificare, analizzare e gestire i rischi che un’azienda potrebbe affrontare in vari ambiti, inclusa la reputazione – è però un passaggio fondamentale per essere consapevoli delle proprie vulnerabilità e poter intervenire con il necessario anticipo.

Le imprese si confrontano con rischi legati alle specifiche caratteristiche dei loro processi e prodotti, dei mercati in cui sono presenti, del loro modello organizzativo. Ci sono poi dei rischi di portata più generale, che possono toccare un’azienda indipendentemente dal settore o dall’industria. Pensiamo ai cambiamenti climatici, che hanno alzato moltissimo la probabilità di essere colpiti da disastri naturali e fenomeni meteo estremi. Oppure al cybercrimine, che oggi è una minaccia concreta con la possibilità di veder interrotti o compromessi i propri sistemi informatici, oppure violata la confidenzialità di dati e la sicurezza delle applicazioni.

Sempre più le imprese devono gestire filiere e supply chain di portata internazionale, il che comporta una forte esposizione alle tensioni geopolitiche, agli shock dovuti all’introduzione di dazi e l’innesco di guerre commerciali, alle difficoltà relative alla logistica, ai trasporti e alle rotte commerciali.

Quanti rischi si trasformano in problemi e, da qui, in situazioni di crisi? Il passo dal risk al crisis management è piuttosto breve: tornando alle stime dell’Institute for Crisis Management sulle smoldering crisis, la metà delle crisi che le aziende devono gestire nasce proprio da rischi non riconosciuti, sottovalutati oppure non gestiti in modo tempestivo.

Perché la cultura della prevenzione fa ancora così fatica a imporsi? “La prevenzione non è sexy. È noiosa. E negarne l’esigenza è fin troppo facile”, scrive l’Institute for Crisis Management sul suo blog. Tante aziende dicono “A noi tanto non succederà”, oppure pensano di essere troppo piccole o troppo poco visibili per attirare l’attenzione dei media. Ma la crisi non è tale solo se diventa notizia. Può fare molto male anche quando si diffonde tramite il passaparola che allontana i clienti, i rumors che demoralizzano i collaboratori, le speculazioni che fanno ritirare gli investitori.

Mettere a fuoco l’elefante nella stanza è essenziale. Richiede competenza, tempo e investimenti ma, dice ancora l’Institute of Risk Management, in caso di crisi, le organizzazioni con alle spalle buone pratiche di risk management sopportano costi fino al 20-30% più bassi.

 

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