Tra i pionieri dell’uso dell’AI in ambito giornalistico spiccano il Washington Post con il robot-giornalista Heliograf, e The Guardian, che già nel 2020 pubblicava un editoriale firmato da GPT-3 di OpenAI. Da allora, sempre più testate in tutto il mondo hanno integrato tecnologie di intelligenza artificiale nei propri workflow editoriali, anche se non è semplice quantificarne la diffusione esatta.
Molti quotidiani e agenzie – tra cui Associated Press, Reuters, Bloomberg e Forbes – usano l’AI per automatizzare la scrittura di cronache sportive, report finanziari e aggiornamenti su eventi complessi come le elezioni. In altri casi, come Der Spiegel, l’AI supporta il fact-checking e aiuta i redattori a verificare la veridicità delle fonti prima della pubblicazione.
In Italia, l’impatto dell’AI è tra le novità del nuovo Codice deontologico dei giornalisti, in vigore dal 1° giugno 2025, che impone la massima trasparenza: l’AI non può sostituire il lavoro umano e va sempre dichiarata e supervisionata. Un esempio virtuoso è quello de Il Sole 24 Ore, che utilizza l’AI per il data journalism e la creazione di inchieste e dossier basati sull’analisi di grandi basi di dati (Lab24, Info Data). Interessante, ma non esente da critiche, anche la sperimentazione condotta da Il Foglio, che ha lanciato “Il Foglio AI”, un’edizione interamente generata con strumenti di intelligenza artificiale.
Cosa ne pensano i giornalisti? Secondo una recente indagine della Thomson Reuters Foundation, il 54% ritiene che l’AI abbia già trasformato in modo significativo il lavoro delle redazioni. Il 42% guarda con ottimismo al suo impiego futuro, pur segnalando criticità etiche ancora da risolvere.
I lettori, invece, si mostrano più scettici. Un sondaggio del Pew Research Center indica che il 50% degli americani teme che l’AI peggiorerà la qualità delle notizie. Il 41% la giudica meno efficace nella scrittura e il 66% esprime forti preoccupazioni per il rischio di disinformazione.
Ma l’AI non riguarda solo i giornalisti e il lavoro editoriale. Con l’obiettivo di personalizzare sempre di più e meglio l’esperienza dei lettori, gli algoritmi di raccomandazione – come quelli adottati da New York Times e BBC – analizzano i comportamenti di navigazione per suggerire articoli pertinenti, aumentare l’engagement e ottimizzare il tempo speso sul sito. In parallelo, strumenti di AI generano automaticamente metadati SEO e contenuti social, migliorando la diffusione online, come nel caso de Il Sole 24 Ore.
L’AI si sta rivelando utile anche per rendere i contenuti più accessibili e inclusivi. Al Festival del Giornalismo di Perugia, Matthew Garrahan ha raccontato cosa sta facendo il Financial Times: dall’agente Ask FT per fare ricerche avanzate negli archivi del giornale alle traduzioni in più lingue per i lettori stranieri, dalla generazione automatica di titoli, sottotitoli e abstract ai contenuti per le persone ipovedenti, la testata sta provando l’AI anche per il monitoraggio e la moderazione dei commenti pubblicati sotto le storie. È ancora presto per misurare i risultati in termini di soddisfazione e fidelizzazione del pubblico, ha sottolineato Garrahan, ma i primi riscontri sono incoraggianti.
Una delle domande aperte riguarda l’impatto dell’AI sui modelli di business degli editori: se la risposta che cerco posso chiederla a ChatGPT, perché dovrei pagare un giornale? Per Garrahan, la risposta non è nella tecnologia, ma nel valore del contenuto: “Nessun algoritmo, almeno per ora, può sostituire la qualità dell’informazione prodotta da giornalisti competenti e fonti affidabili”.
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