L’americana Association of National Advertisers ha scelto il purpose come Marketing Word of the Year del 2018, ed è in effetti al centro dell’attenzione di molti grandi brand. Da chi usa il potere dello sport per migliorare il mondo (Nike) a chi porta salute attraverso l’alimentazione al maggior numero possibile di persone (Danone), da chi si impegna a diffondere l’ottimismo (Life is good) a chi vuole garantire pari opportunità assicurando un equo accesso al digitale (Open Fiber), il purpose esprime la mission più profonda dell’azienda, il bisogno primario che vuole colmare grazie alle proprie risorse e capacità.
La multinazionale Mars ha di recente presentato “Tomorrow starts today”, ma il concetto del purpose è tutt’altro che nuovo. Kongō Gumi, costruttore giapponese di templi e santuari, non ha mai smesso di portare avanti lo scopo dichiarato al momento della fondazione, quasi 1.440 anni fa, ovvero quello di donare calma alla mente delle persone.
Oggi il purpose rappresenta il significato ultimo della Corporate Social Responsibility: non più una strategia satellite, ma l’unica opzione possibile per le aziende che vogliono vedersi riconoscere il diritto di continuare a esistere e operare. “Lo sviluppo sostenibile è il nostro modo di fare impresa, un’ambizione che abbraccia qualsiasi nostra attività”, per dirlo con le parole di Henkel.
Ma perché è tanto importante definire e comunicare un purpose distintivo, che racconti quale impatto l’azienda vuole avere rispetto alle emergenze ambientali e sociali? Possiamo riassumere tre motivazioni.
Il purpose chiama a raccolta i collaboratori, dichiarando l’aspirazione comune che li tiene insieme. Aggiunge senso al lavoro di tutti i giorni e lo porta a un livello superiore. Poiché la scarsa motivazione è un problema per molte organizzazioni, il purpose trasmette energia e invita all’impegno, facendo sentire le persone parte di uno sforzo collettivo per raggiungere un obiettivo nobile. Aiuta anche ad aumentare la resilienza di fronte all’evoluzione economica e sociale. Ed è particolarmente importante per la Generazione Z (i post Millennials), che si stanno affacciando al mercato del lavoro e cercano aziende schierate contro i cambiamenti climatici o il razzismo, che sostengano politiche carbon-positive o i diritti umani.
Inoltre, il purpose risponde alle crescenti aspettative dei clienti, che chiedono alle imprese di chiarire il ruolo che vogliono avere nella società e le responsabilità che sono disposte a prendersi. Abbiamo spesso detto che le persone non comprano prodotti, ma storie – è arrivato il momento di fare un passo ulteriore, e comprendere che il purpose è ormai preferito al semplice storytelling.
Infine, ma non per questo meno rilevante, c’è il beneficio economico. Le organizzazioni con un chiaro purpose hanno risultati migliori di quelle che non l’hanno messo a fuoco, nel breve come nel lungo periodo. Lo ha scritto anche Larry Fink, CEO della società di investimenti BlackRock, nella sua lettera d’inizio anno agli investitori.
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